LA MOUNTAIN BIKE È UNO STILE DI VITA
Abbiamo chiesto ad alcuni atleti, clienti e amici di Effetto Mariposa di raccontarci come vivono la loro passione per bicicletta.
Oggi è il turno di Nat Ross, uno dei pionieri della MTB.
Nat Ross non è soltanto un atleta che ha vinto decine di 24 ore, cross country, marathon, gare a tappe e di triathlon. Oltre all’incredibile mole di risultati, in lui troviamo lo spirito di chi, nell’America degli anni ‘90, ha creato quello che oggi è uno sport praticato e amato da milioni di persone, la mountain bike. Con oltre dieci stagioni nel leggendario team di Gary Fisher, Nat è stato il primo a guidare una bici con ruote da 29” e la sua filosofia di mountain bike come stile di vita a 360 gradi è ancora oggi un’ispirazione per capire questa disciplina come divertimento al di là della performance… per carpirne realmente la sua anima.
Abbiamo chiacchierato con lui al ritorno da uno dei suoi allenamenti in Colorado.
Nat, hai una laurea in biochimica ma la vita ti ha portato a dedicarti alla bicicletta. Come hai iniziato?
“Ho sempre avuto una profonda passione per la scienza e la vita all’aria aperta. Il corpo umano mi affascina e conoscere le sue capacità mi ha incuriosito abbastanza da continuarlo a studiare all’università. Ho messo in pratica i miei studi, anche quando ero un mastro birraio alla Breckenridge Brewery negli anni ’90. Posso assicurarti che il mio background in Biochimica ha contribuito ad adottare lo stile di vita in mountain bike di godersi una bella birra dopo una lunga pedalata!”
Ci rincuora sapere anche da te che la birra fa bene a un biker, grazie per questa piacevole conferma! Sei cresciuto in Colorado: come puoi descrivere a un europeo un luogo che, per noi, appare mitologico?
“Oh sì, il Colorado è sicuramente un posto speciale. Ho avuto la fortuna di crescere proprio sul fiume Colorado, nel mezzo del Continental Divide. Per farlo capire a voi europei direi che il paesaggio della mia regione natale è molto simile a certe regioni delle Dolomiti. Ciò crea incredibili opportunità di fare escursioni fantastiche, sia in bici che a piedi. Sono anche mezzo sciatore: lo sci è nel mio sangue e ho sciato al college con una borsa di studio, in questo modo ho completato il mio stile di vita all’aperto. Il Colorado mi ha fornito gli strumenti per correre in tutto il mondo poiché l’alta quota è stata un vantaggio per me durante la mia lunga carriera.”
Sei un pioniere della Mountain Bike, con centinaia di vittorie importanti e sei uno degli atleti che che ha corso di più nel mitico team di Gary Fisher. Dev’essere stato fantastico veder nascere il movimento sin dagli albori…
“La mountain bike ha sempre avuto un’anima. Rappresenta la bicicletta nella sua forma più pura. All’inizio era uno sport di nicchia: non molte persone avevano mountain bike e non c’erano molti posti in cui ci ritrovavamo a pedalare.”
Come puoi descrivere l’adrenalina di guidare una MTB dei primi anni ’90?
“Wow! Potrei dire puro divertimento! Eravamo come degli esploratori dei boschi in bici. La maggior parte della MTB dei primi anni ’90 era focalizzata sul cross country con le tradizionali bici in acciaio fatte a mano, guidarle era da veri pionieri. Ho conosciuto poi i rider californiani, che facevano fantastici percorsi nella Contea di Marin, in California, ma erano venuti in Colorado per pedalare con noi. Avevano un sacco di stile e personalità ed era un vero spasso andare in bici con loro, erano avanti anni luce. Li accompagnavamo sempre in salita per ore e li facevamo soffrire ma, come puoi immaginare, sapevano il fatto loro quando si parlava di bici.”
Una descrizione che possiamo dare di te è quella di un atleta estremamente versatile, dai diversi talenti: biker, sciatore professionista, biker, triatleta. Ultimamente vediamo che anche nel mondo dei professionisti la multidisciplinarietà è considerata utile per ottenere risultati: penso a Mathieu Van De Poel con il ciclocross o a Peter Sagan con la MTB. Ma la maggior parte dei direttori sportivi insiste ancora in una sola disciplina.
“Certo, la maggior parte degli atleti si concentra su un solo sport e lo capisco, ci vuole molta dedizione per essere forti e rispetto il loro desiderio di eccellere. Tuttavia, per gli atleti come me, quando ti piace davvero spingere il tuo corpo al limite e padroneggiare i movimenti, è utile poter fare diversi sport in base alle stagioni. Ad esempio, tutti gli sport che pratico – bici, camminata, sci, nuoto- coinvolgono gruppi muscolari simili e hanno molti elementi in comune, soprattutto durante le gare. Trovo necessario dividere il tempo tra diverse passioni per rimanere sani e motivati. E non sono l’unico: negli sport di resistenza molti atleti si allenano sia in bici che sugli sci. Quegli atleti, di solito, sono quelli a cui prestare attenzione perché in gara sono i più forti: sciare è, infatti, una delle mie armi segrete.”
Vai spesso a sciare?
“Scio ancora il più possibile, tuttavia in questi giorni non faccio più molti tricks o salti. Mi piace ancora sciare veloce, ma preferisco sciare fuoripista. I viaggi in cui inforco gli sci e dormo nei rifugi sono sempre in cima alla mia lista. Il mio momento di sci preferito è in certe mattinate quando scio con il mio cane e i miei amici, iniziando molto presto al buio e raggiungendo la cima quando sorge il sole. Volete sapere perché sono ancora veloce sulla bici? Grazie allo sci di fondo che pratico in inverno.”
Sei nella hall of fame della MTB … ma qual è la tua disciplina preferita?
“Mi piace l’Enduro anche se posso dire che sto invecchiando e non voglio più rischiare di farmi del male. Quasi tutti i giorni faccio cross country e, se volete, un segreto, fare short track è un modo per mantenersi forti e veloci senza dedicare troppo tempo alla guida. Potete trovarmi anche un po’ in sella alla mia e-bike nel nord-ovest dell’Arkansas, a Bentonville. Amo l’E-bike perché è uno strumento democratico: permette di condividere il mio sport con altri che sono meno in forma di me. Va anche molto bene in discesa, grazie al peso.
Tecnicamente, ne ho viste di cose negli anni. Ricordo che tutti i piloti, all’inizio del 2000, mi dicevano di tornare alle ruote da 26 pollici e di smettere di guidare “quelle ruote giganti da 29”. Ovviamente non li ho ascoltati ed è divertente, ora, vedere che tutti stanno guidando delle “twentyniners”…”
Già, sei stato uno dei primi a guidare con le ruote da 29”, un formato ormai tra i più apprezzati ma, all’inizio, snobbato e addirittura vietato. Come è nata l’idea di ruote così grandi?
“Amo la tecnologia, potrei parlare di tecnologia per ore! Se parliamo di ruote da 29”, bisogna dire che sono state un’idea originale di Gary Fisher, ma sappiamo che il movimento della MTB nasce interamente dalla visione di Gary, che è il padre delle ruote grasse. Keith Bontrager faceva parte di Trek all’epoca, proprio come Gary Fisher, quindi io, come corridore della Trek, avevo a disposizione tutti i migliori ingegneri, designer e guru dei componenti. Avevo già guidato le bici da città di Wes Willet con le ruote da 29 pollici e le adoravo. Così Gary mi disse che voleva fossi proprio io a provarle in gara… parliamo del 1999/2000. Ebbi un handling pazzesco già dal primo giro, la mia impressione iniziale è stata che questo era il futuro. Nei primi anni 2000 puoi immaginare che le dimensioni delle ruote da montare fossero incerte. A quei tempi c’erano solo poche gomme in tutto il mondo che avevano il battistrada in grado di gestire alte velocità sulle piste da Downhill. Keith Bontrager realizzò le mie prime ruote nel suo garage a Santa Cruz, in California: ruote veloci ma anche troppo pesanti. Ci sono voluti più di tre anni per rendere finalmente le ruote abbastanza leggere per le gare di Coppa del Mondo. Sfortunatamente, l’UCI non accettò le dimensioni delle ruote da 29” nei primi anni 2000, quindi il manager della squadra, Gary e io abbiamo dovuto fare delle belle lotte con l’UCI in quegli anni. Ricordo bene quelle due stagioni in quanto non sono riuscito a correre molti Mondiali. È stato allora che ho iniziato davvero le gare di marathon e Ultra-Endurance poiché l’UCI non mi ha permesso di iniziare molte gare per oltre due anni. Alla fine, passare a gare di Endurance mi ha fatto diventare un pioniere anche in quella disciplina, quindi per me è risultato ancora meglio che l’UCI non volesse vedere progressi nel lato tecnologico di questo sport!”
E parlando di pneumatici: qual è il tuo prodotto preferito Effetto Mariposa?
“Credo che tutti dovrebbero guidare con con i Tyreinvader. Per le mie Specialized uso i Tyreinvader 55, sono perfetti nelle mie ruote Crank Brothers in carbonio. Come copertoni, i miei preferiti sono i Pirelli Scorpions. Il copertone è il punto di contatto più importante per la guida e può sensibilmente migliorare le prestazioni. Adoro guidare a bassa pressione quindi uso Tyreinvaders e Caffélatex in tutte le bici, nelle mie mountain bike, nelle e-bike e nelle gravel. Usandoli non mi si sgonfiano le ruote e posso guidare forte e veloce per stare al passo con le “young guns”, i giovani più forti.”
Molti tuoi risultati importanti arrivano dalle gare di endurance. Cosa pensi quando guidi per 24 ore? Dove trovi la forza di fare una gara così difficile?
“Pedalare per 24 ore è estremamente difficile. Ci vogliono attenzione e obiettivi definiti per mantenersi motivati. La maggior parte delle 24 ore che ho corso era su tracciati di circa 10-20 chilometri ogni giro, quindi il mio team lavorava pianificando tutto su fogli di calcolo: pianificavamo l’uso delle biciclette, le attrezzature, quando bere e mangiare, il cambio di abbigliamento ecc. In ogni giro mi concentravo su ciò che dovevo fare per vincere. Come strategia, ho sempre iniziato molto velocemente, con un ritmo da cross country, tenendo il passo con i team per le prime sei ore. Una volta che mi si “spegneva la luce”, proseguivo con il mio ritmo. Ci vuole molta preparazione, ma è gratificante quando ti rendi conto che puoi spingere il tuo corpo così forte.”
Quale sarà il primo consiglio che daresti a un ciclista che desidera approcciarsi a una gara di 24 ore?
“Fai la tua prima gara di 24 ore in una squadra, con i tuoi amici. Inizia in un team, non da solo, in modo da renderlo divertente. Pianta la tenda, accampati e assorbi davvero l’energia del luogo. Le gare di 24 ore hanno il puro spirito della mountain bike e attraggono sempre le persone giuste. Preparati a tornare a casa sfinito e con molte storie da raccontare.”
Qual è il tuo rapporto con la bici adesso? Ancora super competitivo o molto divertente?
“Non smetterò mai di essere competitivo, è nel mio DNA. Possiedo ancora la mia licenza élite e ora mi diletto con la gravel. Amo esplorare i boschi guidando la mia gravel perché mi riporta ai primi giorni della MTB dove esploravo nuove possibilità di pedalare… insomma, la gravel è la mia nuova fissa.”
Hai anche creato la casa di produzione video e organizzazione eventi “Tough Guy Productions” . Quali sono i tuoi lavori principali? Ti piace filmare, è un’altra tua passione?
“Ho iniziato a dedicarmi allo sci cinematografico negli X-Games e alle corse con una videocamera POV, dove POV sta per punto di vista (prospettiva dei piloti). Già agli albori della MTB correvo con una fotocamera nel mio marsupio. La Tough Guy Productions non produce più film, ma giriamo molto per gli altri e ospitiamo anteprime di film. Cerchiamo soprattutto di divertirci. Facciamo cose come la promozione di eventi, lo scambio di biciclette, l’hosting di film, e attività di tutor per le prossime generazioni. Negli Stati Uniti abbiamo la NICA, che è la National Interscholastic Cycling Association (LINK …) che avvicina i giovani al ciclismo. La NICA rappresenta la prossima generazione di atleti, quindi facciamo tutto il possibile in termini di gestione dei percorsi e supporto per gli atleti studenti.”
Quanto è difficile organizzare una gara oggi?
“Il calendario delle gare oggi è molto affollato ed essere un event promoter è impegnativo ma sempre gratificante. Alcune gare hanno molto successo: sicuramente aiuta quando Lance Armstrong si presenta al tuo evento…”
Con la Tough Guy Productions dici che hai iniziato “un nuovo stile di corsa per famiglie” … in che modo?
“La Mountain bike è una comunità. Quando anche le famiglie degli atleti possono partecipare e divertirsi, ecco, per noi quello è il successo di una manifestazione. Ci concentriamo sulla prossima generazione di ciclisti, non solo a noi stessi. Anche le giovani cicliste sono sicuramente un fattore chiave per la crescita dei questo sport. Ai nostri eventi ci assicuriamo di avere un’atmosfera divertente. Non si tratta solo di gareggiare, ma è la cultura che trovi e l’atmosfera stimolante a far tornare di nuovo le persone.”
Quali sono i prossimi obiettivi per la stagione?
“Sono il promoter di uno dei più grandi eventi gravel negli Stati Uniti ma quest’anno potrebbe esserci o meno a causa del Covid-19. Quindi, spero di poter organizzare per il prossimo anno la Big Sugar Gravel Race, una gara fantastica. La prossima stagione per me è già nella mia mente e sto pianificando alcune cose importanti sulle e-bike. Quindi, rimanete sintonizzati… see you on the dirt.”
Segui Nat su instagram: https://www.instagram.com/nat__ross/
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